Giubbotti di salvataggio
I giubbotti di salvataggio, guida alla scelta
Di cosa parleremo in questo articolo?
- Perché i giubbotti di salvataggio sono cosi importanti da avere a bordo
- Le tre grandi famiglie: giubbotti a stola, a corpetto o gonfiabili
- Vantaggi e svantaggi dei vari tipi di giubbotti di salvataggio
- I giubbotti di salvataggio per i bambini
- I giubbotti di salvataggio per animali
- Dove e come conservarli a bordo
- Cosa dice la legge a proposito dei giubbotti di salvataggio
- Perché per classificarli si parla di Newton
- Necessità o meno di revisionare i giubbotti di salvataggio
I giubbotti di salvataggio sono una delle dotazioni di sicurezza fondamentali da avere a bordo, perché lo dice la normativa, ma anche perché lo impone il buonsenso.
Devono essere progettati e costruiti per consentire di tenere a galla una persona, anche incosciente, nella posizione giusta. Quindi con la testa, e in particolare naso e bocca fuori dall’acqua. Devono anche essere robusti, per poter restare a bordo per anni senza deteriorarsi in un ambiente molto aggressivo per i materiali come quello marino (umido e salino).
Ma il primo presupposto per poter funzionare e che vengano usati. Ecco allora che devono anche essere il più leggeri, il meno ingombranti e il più vestibili possibile.
Può capitare di doverli indossare velocemente e con urgenza in caso di abbandono della nave, ma è evidente che il loro uso è pensato principalmente in chiave preventiva. Li si indossa infatti soprattutto per facilitare il recupero in caso di uomo a mare. Poter contare su modelli poco ingombranti e fastidiosi significa che molto probabilmente si terranno addosso più tempo, e non solo quando le condizioni meteomarine diventano molto impegnative.
I giubbotti di salvataggio si dividono in tre grandi categorie, giubbotti di salvataggio a stola, a corpetto e gonfiabili. Questi possono a loro volta essere ad attivazione manuale o automatica.
Hanno tra loro caratteristiche molto differenti.
I primi, i giubbotti salvagente a stola
sono i più diffusi. Hanno una forma che prevede che vengano infilati dalla testa e poi stretti intorno al torace con una o due cinghie. Sono decisamente ingombranti, ma anche i più economici. La galleggiabilità è garantita dalla schiuma espansa a cellula chiusa, materiale molto leggero e che non assorbe in nessuna maniera l’acqua. Questa è solo sulla parte anteriore, quella che va sulla pancia, e dietro alla testa, per far si che questa, e soprattutto naso e bocca, restino fuori dall’acqua.
I giubbotti a corpetto
sono un’evoluzione di quelli a stola. Hanno parte la galleggiante protettiva anche sulla schiena e un sostentamento dietro al collo più efficace. Sono smanicati, si indossano come un normale giubbotto, e hanno una chiusura frontale a cerniera o a ganci che garantisce una maggiore vestibilità. Hanno una cinghietta sottocoscia che fa si che non salgano lungo il corpo e mantengano quindi il corpo nella posizione più corretta.
Sono, nell’insieme, molto più protettivi di quelli a stola e sono il solo tipo di dispositivo abilitato all’uso sportivo (moto d’acqua, kayak, windsurf, canoe ecc..).
I giubbotti di salvataggio gonfiabili
si dividono in due categorie, quelli ad azionamento manuale e quelli automatici. I primi, decisamente meno diffusi, come principio assomigliano molto a quelli degli aerei, con un cimetta da tirare che libera la Co2 contenuta in una piccola bombola attaccata al giubbotto.
Nel secondo caso, quello dei salvagenti autogonfiabili ad attivazione automatica, vicino alla bombola c’è anche un attivatore automatico che può essere:
- un pressostato, che recepisce la differenza di pressione che c’è in acqua e comanda la fuoriscita di Co2
- una pastiglia che a contatto con l’acqua si dilata e comanda l’apertura della bombola. Queste pastiglie sono al sale, o di un materiale simile al cartone, ad alta dilatazione.
Il grande vantaggio dei giubbotti autogonfiabili? Sono decisamente più piccoli e meno ingombranti, Non sono solo molto più facili da indossare di quelli a stola ma è anche facile scordarsi di averli addosso. I modelli più sofisticati, quelli che ad esempio vengono adottati dagli equipaggi delle regate oceaniche hanno anche dei cappucci con una parte frontale trasparente che serve a proteggere dall’acqua nebulizzata che si crea sul pelo dell’acqua in presenza di venti molto forti.
Gli svantaggi sono un prezzo maggiore e che richiedono una maggiore attenzione in termini di manutenzione e stivaggio. Di cui parliamo in maniera più approfondita più avanti.
E per i bambini?
Esistono delle versioni apposite, in ognuna delle tre categorie. È importante ricordare che per avere dei buoni giubbotti di salvataggio per bambini non è solo questione di dimensioni e di come sono tagliati, ma anche di Newton, quindi di capacità di spinta. Non bisogna pensare che se è più “potente” bene lo stesso, magari anche meglio…
Un giubbotto con troppa spinta rischia di mettere il bambino nella posizione sbagliata. E i bambini sono i soggetti meno in grado di risolvere la situazione da soli.
Per i bambini più piccoli, fino ai 4 anni di età, sono consigliabili i giubbotti a corpetto, rispetto a quelli gonfiabili . Anche qui per un motivo di autonomia, questi ultimi richiedono di saper tirare la cimetta per l’attuamento manuale; quelli che sono invece autogonfiabili al momento che prendono forma lo fanno in maniera piuttosto violenta, e il rischio non è tanto di far male al bambino, ma quello di spaventarlo e aumentar ancor di più lo stato d’ansia immaginabile nel momento in cui cadano in mare.
Quelli a corpetto prevedono poi una vestizione simile a quella di un normale giubbotto “terrestre”, e sono molto meno ingombranti di quelli a stola. Altro buon motivo, in termini di sicurezza preventiva, per preferirli nell’uso da parte di bambini e ragazzi, è quindi che li terranno più facilmente, senza accorgersi troppo di indossarli.
Dove e come conservarli?
A prescindere dalla tipologia di giubbotto di salvataggio, a stola, a corpetto o autogonfiabili, e anche dalla destinazione d’uso, per bambini, adulti o animali, temono tutti l’usura che arriva nel tempo a causa principalmente di umidità, salsedine e luce solare.
I giubbotti vanno quindi riposti in un luogo della barca che sia il più asciutto e ventilato possibile. Trovare un posto adatto dipende ovviamente sia dalla dimensione della barca che da come è costruita. Ma molto può anche fare la scelta del comandante o del proprietario della barca.
Si tende infatti sempre a “nasconderli” a infilarli in posti remoti della barca, perché ingombrano molto, soprattutto i modelli a stola, e perché “tanto non vengono usati mai”. Ecco quindi che finiscono nei gavoni meno raggiungibili, e spesso in pochi a bordo sanno dove si trovano.
All’opposto bisogna invece trovare un posto facilmente raggiungibile e ben riparto. Il loro luogo ideale è in armadio in dinette, vicino alla scaletta che porta in coperta. In caso di emergenza si raggiungono subito, non bisogna spostare nulla per prenderli né bisogna arrivare, ad esempio, fino all’estrema prua ed alzare i materassi delle cuccette. Quei gavoni sono invece uno dei posti più “gettonati” per stivarli (scelta poco furba anche perché spesso sono umidi, e anche di acqua salata).
La scelta dei modelli gonfiabili da questo punto di vista si rivela decisamente felice, visti i minori ingombri.
Per chi invece possiede i più ingombranti giubbotti di salvataggio a stola o corpetto una buona scelta è sempre in dinette, o nel salone centrale, sotto ai divani, nei gavoni più raggiungibili. Andranno sì a “rubare” posto a cambusa e bagagli ma, in caso dovessero servire, saranno a portata di mano.
E metterli nei gavoni esterni, quelli in pozzetto? Scelta intelligente nell’ottica della di una maggiore facilità a raggiungerli, ma decisamente meno per preservarli dagli agenti atmosferici. Si può fare con quelli a stola, è molto meno consigliabile per i giubbotti di salvataggio autogonfiabili. Questi seppur meno ingombranti e più facili da indossare richiedono però più attenzione nello stivaggio. Sia le pasticche di sale o in carta, che i pressostati, sono ovviamente più deteriorabili dell’espanso. Si possono quindi innescare involontariamente.
Indispensabile, in ogni caso, è poi che tutti a bordo sappiano dove sono e anche, nel caso di barche private (sulle barche a noleggio è decisamente più complicato farlo), che ognuno abbia il proprio con il nome scritto sopra, della dimensione giusta e con le cinghie già regolate sulla lunghezza adatta alla propria corporatura.
Come fare a scegliere il migliore?
Sul mercato esistono molti produttori sia in Italia che all’estero, di ottima qualità come ad esempio Veleria San Giorgio, Trem e Plastimo capaci di una produzione in grandi numeri, e con prezzi molto interessanti senza dover sacrificare nulla in termini di qualità; ma ci sono produttori di giubbotti salvagente, soprattutto autogonfiabili, del Nord Europa o anche neozelandesi come Spinlock, Baltic o Helly Hansen che hanno ottime carattersitiche.
Sul mercato ci sono anche molti modelli di giubbotti a stola pensati per gli animali domestici. Cani e gatti li indossano sulla schiena e hanno delle cinghie o delle fasce che corrono sotto alla pancia per mantenerli nella corretta posizione, con le zampe verso il basso (con il quale l’animale istintivamente nuoterà) e la testa fuori dall’acqua. Hanno, sul lato del dorso, anche una robusta maniglia per il recupero dal mare.
Come fare per essere in regola con la legge?
Vediamo come funziona la normativa sui giubbotti di salvataggio.
I giubbotti di salvataggio devono avere la marchiatura CE e rispondere alla normativa ISO 12402 che ha sostituito la vecchi contraddistinta dalla sigla EN. I giubbotti vengono suddivisi in tre grandi categorie, in base alla “spinta verso l’alto”, quindi i Newton, che troviamo riportati sull’etichetta.
- Si parte dai giubbotti di classe 50 N contraddistinti dalla sigla ISO 12402-5 e che in realtà appartengono ancora alla categoria “aiuti al galleggiamento”, il loro uso è riservato solo ad attività ricreative e sportive da fare sotto costa. Parliamo quindi di un loro uso utilizzando moto d’acqua, canoe, kayak, windsurf e kitesurf.
- Fanno invece già parte della categoria “giubbotti di salvataggio” i giubbotti di classe 100 N – contraddistinti dalla sigla ISO 12402-4. È il la classe di giubbotti di salvataggio con i requisiti minimi per poter essere utilizzati, entro sei miglia nautiche dalla costa, da natanti e imbarcazioni da diporto.
- Per le imbarcazioni da diporto abilitate a navigare oltre le 6 miglia dalla costa è invece obbligatorio avere a bordo i giubbotti di salvataggio di classe 150 N - ISO 12402-3
- Infine, i primi della classe, giubbotti di salvataggio della classe 275 N - ISO 12402-2 sono adatti ad ogni tipo di utilizzo.
Perché si parla di Newton per distinguere le categorie di Giubbotti di Salvataggio?
ll newton, contraddistinto dal simbolo: N è l’unità di misura della Forza all’interno del Sistema Internazionale di Unità di Misura e viene definita come la quantità di forza necessaria per imprimere a un kg di massa un'accelerazione di un metro al secondo quadrato.
In maniera molto sintetica si può dire che viene usata per definire le categorie di omologazione dei giubbotti di salvataggio perché indica la “spinta” verso l’alto che i giubbotti esercitano in acqua.
Il Newton è anche l'unità di misura del peso, che è la forza che agisce tra due corpi a causa della gravità terrestre. Una massa di un kg sulla superficie terrestre, subisce una forza peso di circa 9,81 newton (valore che, per la precisione, varia di pochi decimi di punto percentuale a seconda dei vari punti della superficie terrestre).
L’errore più comune è quello di confondere il concetto di peso, che è una forza ed è quindi espressa in newton, con la massa che viene invece espressa in chilogrammi. Ecco anche spiegato perché la normativa sui giubbotti di salvataggio li categorizza in base ai Newton, e non ai kg che possono sostenere.
Sempre restando all’interno del complesso mondo della normativa e delle sue definizioni va ricordato che giubbotto di salvataggio è un semplice sinonimo della più colloquiale espressione giubbotto salvagente mentre è ben diverso dai cosiddetti aiuti al galleggiamento. Sono dispositivi (anche autogonfiabili) con caratteristiche di galleggiamento però più limitate e privo di capacità di raddrizzamento. Sono quindi dispositivi “passivi”, a cui bisogna ad esempio aggrapparsi. Sono ben diversi dai giubbotti di salvataggio, e non solo a termine di legge.
I giubbotti di salvataggio richiedono revisione?
In linea di massima no, ma una distinzione va fatta tra la revisione dei giubbotti gonfiabili da quelli a stola. Questi ultimi non ne richiedono alcuna. La normativa dice che possono durare a bordo come dotazione di sicurezza fin quando non mostrino un deperimento che ne condizioni l’uso. In pratica in eterno. Questo è ottimo in termini economi, ma tende a deresponsabilizzare il diportista, che tende a “dimenticarli” in qualche gavone. È quindi il buon senso ad intervenire , e a spingere alla sostituzione.
Per quelli gonfiabili esiste un obbligo di auto manutenzione ogni anno. Questo significa che sarai tu a valutare nel corso di ogni anno se è necessario qualche intervento. Questi riguardano ovviamente lo stato dei sistemi di attivazione (i pressostati hanno un indicatore che va sul verde o sul rosso a secondo del loro stato) e della bombola. Anche in questo caso, nonostante ci sia un’indicazione di tempo da parte del legislatore, si conta molto sulla auto responsabilizzazione da parte del diportista.
Alla revisione dei giubbotti di salvataggio autogonfiabili provvedono, non in termini di legge ma in termini di effettivo funzionamento, anche alcune società specializzate che si possono trovare nei principali marina.